Era il 1986 quando nelle sale cinematografiche venne proiettato per la prima volta “Miranda”, un film del maestro dell’erotismo Tinto Brass e interpretato da una sensualissima e procace Serena Grandi.
La pellicola fece sognare milioni di italiani, rendendo l’attrice una vera icona di quegli anni. “Miranda” è la storia di una locandiera prosperosa e molto disponibile che attende da anni il ritorno del marito, Gino, disperso in guerra.
In attesa di notizie del coniuge la donna si concede numerose avventure con una serie di personaggi che ruotano intorno alla locanda: l’autotrasportatore Berto, amante fisso e motivo di numerosi litigi; il ricco ex fascista Carlo, l’amante di passaggio, costretto al confino ma pronto a coprire la donna di costosi regali; il giovane ed avvenente tecnico americano, Norman, che si occupa del metanodotto e delle bellezze locali.
Le scene sessuali sono molto intense, tanto che fecero scalpore per quell’epoca.

Serena Grandi festeggia così le sue prime 30 candeline alla carriera. Nonostante gli alti e i bassi, i successi degli anni ’80 e ’90, i film tv con Carol Alt ed Erick Roberts (fratello della diva hollywoodiana Giulia), i telegatti, l’arresto per droga, i periodi bui e il male oscuro, la burrosa diva romagnola ha saputo reiventarsi ed oggi è – come lei si è definita – una donna nuova.
Nella pellicola erotica Tinto Brass non diede la fama solo alla Grandi, ma anche al protagonista maschile Andrea Occhipinti. Anche per lui dopo un periodo davvero fortunato, in cui va segnalata anche la conduzione nel 1991 del Festival di Sanremo assieme a Edwige Fenech e molti film di successo, è calato il buio. Forse perché il grande schermo, che continua a fare a botte con il piccolo, non ha perdonato a Occhipinti quella leggerezza sanremese, in cui fu aspramente criticato per l’incapacità di reggere il ruolo.
Gli incassi di “Miranda” furono incredibili, ma la critica stroncò in maniera perentoria la pellicola. Secondo il noto espero Matteo Contin il film era sostanzialmente un imbroglio perché voleva essere un sexy-affresco sull’Italia post-bellica, mentre invece si sviluppava come un soft-core condito da dialoghi che volevano far apparire serioso ed artistico il tutto. Ne uscì – secondo lui – un film “stanco, ricattatorio, senza un briciolo di idea che non fosse quella di far vedere la topa (scritto proprio così ndr) di Serena Grandi”.
A cura di Andrea Iannuzzi