Il “caso” Morrone riapre il dibattito sul cinema italiano
L’attore fa marcia indietro dopo lo sfogo contro l’industria
Michele Morrone ha fatto un passo indietro, dopo le dichiarazioni incendiarie rilasciate durante la sua intervista a Belve. All’intervista era seguito un violento sfogo sui social, quindi, l’attore ha pubblicato il suo messaggio di scuse. Ha ammesso che il tono delle sue parole era inappropriato e ha attribuito la sua reazione a un disagio profondo, personale ma, come ha sottolineato, condiviso da molti colleghi. Un gesto reso necessario dalla bufera che si era alzata a seguito del suo attacco – neanche troppo implicito – all’interpretazione di Benito Mussolini da parte di Luca Marinelli nella serie M – Il figlio del secolo.
Ridurre però tutto a una semplice caduta di stile sarebbe miope. Quelle di Morrone sono state parole impulsive, forse incoscienti, ma non prive di fondamento. Hanno dato voce a un malessere che da tempo serpeggia sottotraccia nel settore.
Nel mirino il sistema chiuso del cinema italiano
Il cuore della polemica non è solo una questione personale. Morrone ha puntato il dito contro l’intero sistema cinematografico italiano, definendolo “chiuso” e “autoreferenziale”. Secondo l’attore, i criteri con cui vengono assegnati ruoli e visibilità sembrano più legati a logiche di appartenenza che a una reale meritocrazia.
Molti nel settore conoscono bene questa crepa, ma pochi hanno il coraggio di parlarne. Il sistema dei festival, dei premi e dei progetti finanziati tende a premiare chi è già dentro, lasciando poco spazio alle voci nuove o non allineate. Le parole di Morrone hanno forse scosso perché hanno toccato un nervo scoperto che molti preferiscono ignorare.
Una polemica che nasconde un malessere diffuso tra gli attori
Morrone non ha mai nascosto un suo senso di estraneità a questo ambiente. Non a caso, la sua carriera è decollata all’estero, prima con un successo planetario di 365 giorni, poi con ruoli internazionali accanto a nomi come Amanda Seyfried, Sydney Sweeney e Blake Lively. Un percorso, quello di Morrone che si è sviluppato lontano dai red carpet italiani, dove – secondo lui – l’applauso è spesso il riflesso di dinamiche interne più che di una reale valutazione artistica.
L’attacco all’interpretazione di Marinelli non era solo una critica personale, ma una presa di posizione contro un’intera visione del mestiere. L’idea dell’attore che deve “soffrire” per essere credibile, che si immerge nel dolore per dimostrare autenticità, è stata bollata da Morrone come una posa, una teatralità fine a se stessa.
Il silenzio degli addetti ai lavori: opportunità o chiusura?
Le scuse sono arrivate. E con esse un tentativo, forse tardivo, di riformulare un pensiero che – se espresso in altri termini – avrebbe potuto generare un confronto importante. Invece, tono acceso e forma aggressiva hanno polarizzato l’attenzione, travolgendo il contenuto.
Da parte degli attori e dei professionisti chiamati indirettamente in causa, è calato un silenzio tombale. Nessuna replica pubblica da Luca Marinelli, nessuna presa di posizione ufficiale da altri nomi del cinema italiano. Una scelta che può essere interpretata come eleganza o come chiusura, ma che in ogni caso lascia aperta una domanda: è davvero possibile discutere liberamente, senza pagarne il prezzo?
Forse la questione non è sullo stabilire chi abbia ragione, ma chiedersi se il nostro cinema sia ancora in grado di ascoltare le voci dissonanti. Anche una voce fuori posto, infatti, può costringerci ad ascoltare il rumore che facciamo per non sentire davvero.
A cura di Katya Malagnini
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Una vita piena di bollicine a tutti!