COME PARLARE DELLA MORTE AI BAMBINI: IL PENSIERO DI DANIELA GRAGLIA
QUAL È IL GIUSTO MODO PER PARLARE AI BAMBINI DELLA MORTE?
Affrontare il tema della perdita con un bambino vuol dire parlare liberamente della morte di una persona cara, di chi gli è stato vicino, di qualcuno significativo per lui: un nonno, un parente, un amico, la mamma, il papà tutti casi che rischiano di attivare pregiudizi e tabù tra adulti volti a proteggerlo dal tanto dolore che la situazione genera.
La morte toglie il fiato, annulla le parole, rade al suolo le speranze e la fantasia. Tirarsi su non è facile, soprattutto quando il processo è stato lungo e lento da risucchiare anche le ultime forze rimaste.
Il tempo prolungato dedicato al decorso di una malattia, così come la rapidità di una morte inattesa, hanno il potere di sottrarre gran parte della vitalità e del vigore che una persona, a qualsiasi età, possiede lasciando un unico segno indosso: l’imprinting dell’impotenza e dell’immobilità. Per questo non è sempre facile lasciare tutto al normale decorso di accettazione, elaborazione e assestamento di cui l’individuo è dotato per superare un lutto. Se questo stato comporta fatica e forza tra adulti, per i bambini è decisamente più complesso.
«E adesso cosa gli diciamo?», «come ci poniamo con lui?», «avrà capito?», «chissà cosa pensa?» sono gli interrogativi più frequenti che gli adulti si pongono e mi domandano quando fanno richiesta di sostegno e aiuto. Un lutto in età infantile lascia un segno indelebile nella vita di un bambino. Il sostegno, le parole dette e il conforto che riceve gli danno la possibilità di superare diversamente la perdita rinforzando il suo sviluppo di crescita. Chiediamoci allora «di cosa avrebbe bisogno?».
Se l’idea più diffusa è di superare il dolore in assoluto riserbo e totale silenzio, annientati dal dramma della perdita, il rischio è che prevalgano la parte catastrofica e l’immenso senso di vuoto. In tal modo si rischia di tralasciare tutti i ricordi belli, le emozioni positivi, le esperienze fatte insieme e gli insegnamenti ricevuti da chi ci ha lasciati che restano per sempre e vanno al di là di ogni cosa. Sant’Agostino diceva “I morti non sono assenti, sono esseri invisibili…”.
Il bambino va aiutato a contrastare l’arroganza e la superbia della morte che indifferente e impietrita non si è fermata davanti a nulla, lavorando con lui su ciò che ne rimane. I bambini sono capaci di affrontare esperienze dolorose, devono potersi fidare delle persone e hanno bisogno di sapere cosa accade intorno a loro, sempre.
Il bambino va spronato a dare voce a tutte le sensazioni, pensieri ed emozioni tristi che sente. Deve sentirsi normale anche se ha reazioni forti, strane o trattenute di rabbia e angoscia nei confronti di un dolore così grande. L’obiettivo diviene quello di avere un ricordo il più sereno possibile di chi non c’è più continuando a sentirsi al sicuro con chi si prende cura di lui infondendo speranza.
Disegnare la persona che non c’è più, rappresentare sul foglio la propria tristezza accettando di poter piangere per liberarsi, riflettere insieme sulle cause di morte, liberarlo da ipotetici sensi di colpa, fargli ricordare attraverso disegni i momenti belli trascorsi insieme, dargli la possibilità di raccontare le sue paure, ascoltare come e dove si manifesta la sua rabbia, comporre un elenco di tutti gli insegnamenti preziosi ricevuti, presentificare il defunto scrivendo cose di lui, parlare con il bimbo dei cambiamenti necessari sono tutti stimoli concreti, utili e sinceri per gestire esperienze così traumatiche.
Si ringrazia la Dott.ssa Daniela Graglia, Psicologa- Psicoterapeuta familiare- Psicodrammatista Junghiana, da “I nodi dell’anima”, Golem Edizioni, per la collaborazione.
Una vita piena di Bollicine a tutti!